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Di solito non amo ricorrere a luoghi comuni o frasi fatte tuttavia mai come questa volta non posso non concordare con chi sostiene che ‘la prima volta non si scorda mai’, forse perché il ricordo e la fatica, considerata anche la notevole vicinanza temporale dell’evento, sono ancora impressi in maniera vivida nella mia mente e nei miei muscoli. Detto ciò vado subito a sgombrare il campo da possibili pruriginose congetture precisando che “la prima volta” di cui parlo si riferisce alla mia prima maratona. Per mesi ho pensato a questa fantomatica Maratona di cui tanto avevo sentito parlare, fino al punto di raffigurarmela come una sorta di gigante e tentacolare mostro mitologico in grado di avvinghiarti e fagocitarti in ogni momento, consapevole però che con le dovute armi (allenamento, tenacia, spirito di sacrificio, volontà etc. etc.) lo si sarebbe potuto affrontare e ‘sconfiggere’.Per settimane, incurante delle condizioni del tempo, e sottraendo inevitabilmente tempo ed attenzioni ai miei affetti (come penso accada più o meno a tutti), ho rispettato in maniera ossequiosa un programma che mi permettesse di arrivare pronto alla disfida. La partecipazione alla maratona è diventata anche il pretesto per un week end in Emilia con la famiglia infatti con me ci sono Monia e Margot, rispettivamente compagna e figlia, che hanno, tra l’altro, avuto un ruolo molto importante nella mia preparazione seguendomi (con la bicicletta) e rifocillandomi durante i ‘lunghi’. Il giorno della gara sveglia di buonora, colazione un po’ più sostanziosa del solito e poi di corsa al palazzetto dello sport dove i runners possono spogliarsi e prepararsi per la corsa. Mille dubbi mi assalgono sul vestiario da indossare, mi guardo un po’ intorno confidando di carpire qualche segreto ai maratoneti più esperti, la tendenza generale è quella di non essere particolarmente coperti anche se la temperatura è sullo ‘zero’, alla fine decido di seguire il mio istinto: ‘doppio strato’ e paravento sopra, pantaloncino corto sotto (alla fine non dovrò pentirmi della mia scelta). Mi dirigo alla partenza senza particolari pensieri, mille sensazioni mi si sovrappongono nella mente ed alla fine e come se non ne avessi alcuna. Cerco il mio punto di ingresso e mi sistemo in mezzo agli altri, accanto ho uomini e donne (un 10% ca.) di ogni età, di diverse provenienze geografiche, ed immagino -senza paura di smentita- di differente livello sociale e culturale. Ancora una volta mi viene da pensare a quanto la maratona sia uno sport altamente democratico, forse il più democratico in assoluto: prendiamone una qualunque (verosimilmente quelle più famose offrono più chances in tal senso) tutti possono parteciparvi e correre assieme al loro atleta preferito, o a chi magari detiene il record del mondo, o a chi magari ha vinto le Olimpiadi, quale altro sport può permettere questo??  Qualcuno forse vorrebbe giocare a calcio con Messi o C.Ronaldo o forse fare uno sprint con Bolt  ..ne avrà mai la possibilità? ..glielo auguro ma ne dubito fortemente. Ormai manca poco alla partenza, il mio gps è impostato, i pace maker delle 4 ore sono poco più avanti di me, spero di aver modo e forza di sopravanzarli di qui alla fine; sono abbastanza lontano dalla linea di partenza tanto che non sento neppure il segnale di ‘via’ vedo comunque il grande cronometro sul traguardo azionarsi e capisco che il momento per il quale mi sono tanto duramente allenato è finalmente arrivato. Dopo un paio di km particolarmente trafficati riesco a trovare uno ‘spazio esistenziale’ che mi permette di sviluppare la mia corsa sulla base dei tempi che mi sono prefisso. Gradualmente si abbandona il centro città per dirigerci verso paesini di campagna, trattori, pagliai, cinguettii danno una dimensione bucolica alla corsa come nondimeno le odorose folate di bestiame che però al contempo ci ‘destano’ riportandoci alla ‘dura realtà’. I km trascorrono piuttosto lineari, probabilmente il fatto di essere tra tanta gente -essendo abituato ad allenarmi da solo- me li rende meno gravosi e pesanti. Dal decimo chilometro, seguendo il consiglio di un amico fidato, decido di cominciare a nutrirmi, ‘punte’ di banana, pezzetti di Kit&Kat, zollette di zucchero, mi garantiranno il necessario fabbisogno energetico. Giungiamo ai 20 km, sento che le gambe stanno discretamente, avrei voglia di alzare il ritmo ma la gara è ancora lunga e non volendo rischiare di vanificare tutto quanto riesco a contenermi ed a proseguire alla velocità prestabilita. Si superano i 30 km, ancora buone sensazioni: si arriva al 36mo km, mai prima di ora ho superato questa soglia, non so cosa c’è oltre, provo la stessa sensazione che si può provare allorché ci si accinge ad entrare in una casa buia che non si conosce, ma non ho paura, “sono qui proprio per questo” è il mantra che ripeto a me stesso. Paradossalmente il crescente numero di atleti che passano dalla corsa alla camminata non fa che rinforzare la mia autostima  e la mia convinzione.  Poco dopo comincio a pensare di avere attraversato, senza accorgermene, quel fatidico ‘muro’ di cui tanto avevo sentito parlare e che sembra rappresentare il vero spauracchio di ogni maratoneta, non finisco di elaborare questa idea che poche decine di metri davanti a me mi sembra di vedere Batman e Catwoman …non solo ho sbattuto contro il ‘muro’ ma il trauma mi ha provocato addirittura le allucinazioni, questo è il nuovo pensiero che subito mi si materializza in testa, cerco di non farmi condizionare dallo stesso e proseguo, di lì a breve sono davvero a fianco dei due eroi dei fumetti che altri non erano che due maratoneti goliardi amanti dei travestimenti. Sono ormai al 39mo km, trovo anche la forza ed il piacere di un bel sorriso ad un fotografo che, come altri suoi colleghi in precedenza, come scatta mi ricorda che “sei su podisti.net” ..di solito sono fotogenico, speriamo di esser venuto bene anche questa volta. Ormai sono vicino, molto vicino, trovo persino l’energia di una forte accelerazione nell’ultimo km: in prossimità del traguardo cerco -in maniera avida e felice al contempo- con lo sguardo le ‘mie donne’, le vedo, entrambe sorridono e gioiscono, Monia perché sa quanto ho faticato per arrivare sin lì e quanto ci tenessi, Margot -la mia piccola di nemmeno 3 anni- probabilmente, lo spero, perché è solo contenta di rivedere il suo babbo (questa è la vera vittoria) dopo 3 h, 51 min. e 44 sec. (real 3:49:51). Avrei ancora tante cose da dire ma non desidero tediare oltre, anche se forse l’ho già fatto, vorrei però concludere dicendo che ‘oggi’ che ho concluso una maratona non mi sento una persona migliore di ‘ieri’ quando ancora non l’avevo corsa, ho tuttavia la sensazione di aver fatto qualcosa di significativo ed importante oltreché estremamente gratificante, una cosa è certa, Zatopek aveva pienamente ragione quando asseriva “SE VUOI CORRERE, CORRI UN MIGLIO, SE VUOI CONOSCERE UNA NUOVA VITA, CORRI LA MARATONA”!!

Samuele Scartoni

 

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