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Marco Pordoi

Mentre taglio con la forchetta una torta sacher ripenso con piacere a questa mattina. Fuori il tempo è chiuso e nel rifugio dove ci troviamo assaporiamo atmosfere invernali. Il Ferragosto dei gavettoni è lontano nei ricordi che nello spazio. La ragazza ci porta una cioccolata calda ed un cappuccino. "Le spiagge saranno gremite ed i barbecue carichi di legna" penso. Salento, Sardegna, Rimini il Forte e la Sicilia. Ci troviamo al passo Redebus tra la valle dei Mocheni e l'alto piano di Pine, in provincia di Trento. 

In luglio dissi a Marco di raggiungermi in montagna che avevo voglia di fare il Pordoi. La prima volta fu nel 1984, nel mangianastri De Andre. Fu amore a prima vista. C'era qualcosa di me in quel posto sconosciuto. Allora salii da Arabba. Sono tornato più volte, sia in inverno che in estate. Conosco anche gli altri valichi ma nessuno è come sua maestà. Saranno le tante storie legate al ciclismo come le vecchie foto di commercianti appese nei rifugi. L'ampiezza della forcella, il Sass Pordoi e il Sass Becè i due doganieri di granito. 
Nell'allenamento successivo mi dice di trovare un albergo che sarebbe venuto qualche giorno con la famiglia. 
Stamani alle 7 sono passato a prenderlo, abbiamo brindato con la Red Bull, abbiamo scodinzolato fra le vallate, siamo sbucati nella Val di Fassa. A Canazei erano 13 *C alle 8,30. Parcheggiamo l'auto e chiediamo informazioni per tornare con la funivia.   
Partiamo! L'asfalto bagnato trasudava passione. Nello zaino un cambio completo e il cellulare. Non mettiamo acqua. Sappiamo che sono circa 13 km, 800 m di dislivello e 28 tornanti. 28 curve a 180*. Nel tragitto più volte rifletterò che le curve a 90*, non classificate come "tornante", anonime (senza numero) perciò minori, dovrebbero valere doppie se utilizzassimo la fatica per misurarle. Dovrebbero fare il cartello "doppio tornante", per indicare che altimetricamente duplicano. Marco è euforico. Ormai lo conosco da una "vita atletica". "Questa è l'Università" mi dice appena lasciato il paese. Mi fa piacere farla con lui. Nei sui cenci è uno scalatore nato. Dote e virtù. Oggi (vedi titolo da cui è stato omesso il termine Passo) è sinonimo di Ritmo e Valico. Più diminuisce l'angolo fra il suo corpo e il piano stradale più spinge. Ce ne accorgiamo in pieno svolgimento. "Spiana" accelerò, "tira" lui allunga. È uno slalom misto al contrario a salire. Porte strette porte lunghe. E così come Coppi. Tornante dopo tornante "…e va su…" Gino Paoli. Marco vuole delle istantanee in itinere. Ci fermiamo in prossimità dei panorami, delle segnaletiche, del 14* tornante, la nostra Mezza. Dalle tribun-autovetture, le famiglie ci scrutano. I motociclisti lo fanno dagli specchietti retrovisori. Tutti cercano di scorgere l'espressione più profonda della fatica. Appropriarsi per un attimo, di quest'avamposto, ove alcuni umani osano spingersi. Capire quali effetti esercita sul loro volto, specchio dell'anima, e così entrare nella fragilità altrui. Marco sta meglio di me. Ho le gambe pese. Non si può avere tutto. Ho già tanto ad essere qui. Senza pudore lo esorto a moderare il passo. 
Vaneggiamo, facciamo Orienteering. Il gioco sta nel trovare il nome al valico che unisce le più celebri località dolomitiche. 
Arrivano i ciclisti, lui come un cavallo "born to run", cerca di accelerare, mi dice che in altri momenti avremmo potuto prenderli. Sente l'odore della cima ed anche il sangue sale fino alla testa. Mancano 3k e 12 tornanti. Incredibile! Penso che ci sia un errore. Ed invece l'ultimo tratto è un vero e proprio "slalom speciale". "Ora la strada è deserta". Noi ed i ciclisti insieme nella fatica. La portiamo un po' per uno, ciascuno con le proprie gambe. Mi gira la testa. Vediamo il parcheggio dei camper ed il cartello passo Pordoi. L'oltrepassiamo, allunghiamo, ci fermiamo da Coppi.
Francesco T
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