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Ultimo avamposto abitato, nel lato sud del Monte Falterona, Papiano è conosciuto per i tortelli di patate e la trota. In questi giorni si svolge la sagra della regina dei nostri fiumi, ed uno stand gastronomico, fa da pergolato a questo tanto prelibato salmonide. Poco distante il ristorante/bottega da Loris, è sede storica e consacrata del piatto che racchiude la solanacea a pasta bianca di Cetica, in un involucro malfatto di pasta tirata a mano.  Qui ci siamo ritrovati all'aperto, in una lunga tavolata, alla fine della corsa. Decimati dagli abbassamenti di pressione, abbiamo parzialmente reintegrato, quanto abbondantemente perso lungo un percorso che sembrava non finire mai. Il continuo variare della pendenza, unito all'incessante cambio della superficie calpestabile, hanno reso impossibile durante il ritorno, una navigazione di crociera. Alleanze con sconosciuti, per alleggerire i passaggi più difficili. Confidenza provvidenziale, dono delle montagne più alte. Domande ad ogni frequente ristoro, sul tempo e distanza, essenziali per raggiungere la cima.  Il Monte Falterona non è un luogo comune. È la montagna da cui sgorga la lingua italiana. Quel dialetto Volgare, dagli illustri avi: greci, etruschi e latini, adottato dall'intero popolo italico.  Papiano assomiglia più ad un'incrostazione arenarica, che ad un vero e proprio paese. Aggrappato com'è al monte, ci costringe ad azionare ridotte e freni per muoversi tra le auto parcheggiate e il tavolo delle iscrizioni.  Precedentemente come tradizione, ci siamo trovati alle sette nel piazzale delle scuole Francesco Severi, smistamento dei passeggeri, e via verso il Casentino. Prima tappa Rassina dove abbiamo preso un caffé e dove io e Gianni abbiamo mangiato un cornettino farcito rispettivamente con nutella e marmellata. Krapfen contro krapfen, krapfen al cioccolato sfida krapfen all'albicocca. E così è stato, ma poi abbiamo (ha) deciso di arrivare insieme. Ma andiamo per gradi. Pochi partecipanti, come piace a me. Molti reduci dai 100 Km del Passatore, dal Trail del Malandrino e dal più remoto Trail dell'Elba.  Ad ogni incontro si scava una fossa più profonda tra i "boscaioli" e gli "stradaioli". Chi è sia l'uno che l'altro si sente strattonato, sedotto da un modo diverso di correre. Diverso da come ha inteso il podismo ed i suoi effetti fino ad ora. Riconciliato. Tre ore sulle gambe, tra sali e scendi, sentieri e carraie, dissetati dalle acque che sentivi scrosciare in ogni ruga della montagna, almeno per me, sono altra cosa rispetto alle corse "in linea". Si può comunque continuare a fare le une e le altre, il problema è che lì, ti senti a casa. Solitamente è difficile vivere il presente, soprattutto quando stai soffrendo. Normalmente desideri di arrivare quanto prima, oppure ritorni con la mente ai momenti precedenti alla partenza.  Eppure, lì, là, lassù; speri che quegli istanti non finiscano, allungandosi ancora un po’. Quando il rifornimento diventa un luogo di battute scherzose, quando il paese e la sua civiltà sono lontani, quando sei parte del tutto (panteismo naturalistico), e parlando con chi ti sta accanto ti accorgi quali sono le cose importanti. All’arrivo è difficile che si parli di sensazioni fisiche, di tagli di strada, di rilevamenti cronometrici. E’ più facile che si porti l’attenzione dell’altro su un determinato passaggio, su un panorama, su una fontana. Bellissima giornata quella di domenica. Sunday, il giorno del sole.  "Il si va in Casentino a trovare un po' di fresco" ci stava proprio bene. L'ascesa al monte Falterona dura 10 Km, tra pendenze ora accettabili ora scalabili. I rifornimenti offrono albicocche, banane, zucchero, acqua in tanica poco prima attinta da qualche sorgente. L'ultimo tratto prima della cima, lo camminiamo in uno stretto crinale. Un sentiero delineato da faggi il cui vello ligneo chiazzato grigio e bianco è spruzzato da infiltrazioni luminescenti. Il tronco tozzo e l'altezza ridotta, indicano uno schiacciamento provocato dalla volta celeste. "La cima d'essere vicina". Orde di persone scendono, orde di persone sostano nella stretta sommità. Nuvole di tafani ci sovrastano senza attaccarci. Inizia la discesa scoscesa. Ecco le prime distorsioni. Tra cui la mia. Gli altri non si vedono. Chissà dove sono, e se riuscirò a raggiungerli. Sfioriamo la testa degli ski-lift della Burraia. Poi giù da dove salgono i piloni della corrente elettrica. Siamo compatti, ho ritrovato il mio target, decidiamo di procedere insieme. Entriamo nel sentiero dei Tedeschi dove correva la Linea Gotica della seconda Guerra Mondiale. Tre, quattro Km in uno stretto sentiero in contropendenza.  Il carico del corpo si ripartisce principalmente nella gamba a monte, mentre la sinistra a valle cerca di non farci scivolare nel burrone. Chi più chi meno paga l'allungo asimmetrico. Decidiamo di proseguire separati. Io rimango con Gianni a parlare se il cornetto non gli “rinfacciasse”. Riparliamo della Cortina-Dobbiaco, di quello e dell'altro, del fiume.  Mi dice che vorrebbe entrarci dentro, ed effettivamente, più avanti, dovendolo guadare, ci salta in mezzo fin sopra le caviglie. Giù al paese dovrebbero essere arrivate le famiglie, e i bambini nauseati dalle curve appenniniche. Possono aspettare, mancano ancora Km indecifrabili.  Gianni nell’ultimo tratto mi aspetta, ha qualcosa in più nelle gambe. Zuccherelli che ci ha preceduto di pochi metri, dopo aver sbagliato tragitto, è cotto. Altri sono già docciati, Enrico e M.Chiara. Scrocca successivamente ad una prova esemplare rientra a casa senza pranzare per un abbassamento di pressione. Va peggio a Mauro Cacioli, che per lo stesso motivo, dopo averlo assistito per un po’, decidiamo di chiamare l’ambulanza. Massima in catalessi distesa sulla panchina del ristorante. Viti vecchio leone, affiancato dal prode buongustaio Vinicio e dallo scudiero Tartaglione, mangia ben quattro piatti di tortelli e la trota. Nel pomeriggio rientriamo verso valle, con nel cuore un’altra bella avventura.

 

Francesco Tavanti, giugno 2012

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